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Negrita, ecco l'album Desert Yacht Club: “Nato dopo un momento difficile” La band: “Non ci passa per l’anticamera del cervello di sentirci vecchi” 08-03-2018

I Negrita sono pronti a lanciare “Desert Yacht Club”, il loro decimo album che uscirà domani (9 marzo) e che omaggia l’omonima oasi creativa fondata da Alessandro Giuliano nel deserto di Joshua Tree in California. Proprio in California c'è stato l'imprinting del disco: “Nell’estate 2016 eravamo in giro nel Sud Ovest degli Stati Uniti, ci trasferivamo da un luogo all’altro su un furgone”, racconta la band. “Desert Yacht Club” è un disco maturo, libero, da outsider, nato da un momento difficile che necessitava di un periodo di rigenerazione: “Venivamo da qualche anno di problemi umani interni. Eravamo un gruppo che cominciava a vedere un orizzonte finito, qualcuno iniziava a pensare di mettere un piede fuori dalla band. Invece come reazione abbiamo preferito mettere in campo coraggio e valori”, spiega Pau. Il disco è stato anticipato dai singoli “Adios Paranoia” e “Scritto sulla pelle”.

Intanto i Negrita si preparano agli appuntamenti instore, al via domani (9 marzo) da Firenze in concomitanza con l’uscita del disco, e ai concerti.

Desert Yacht Club” è stato realizzato attraverso il metodo del “Kitchen Grove”. “Di solito una rock band tradizionale si trova in una saletta, poco salubre, per fare musica. Noi in genere usiamo studi residenziali, per noi la musica è un 24h, non esistono orari d’ufficio. Ti svegli di notte, insonne, butti giù dal letto un tecnico del suono per dirgli di registrare delle cose”, spiega Pau, “Abbiamo ribaltato questo concetto e il tavolo della cucina è diventato il nostro campo da gioco”. Il “Kitchen Grove” è basato su un set up minimale ed esportabile ovunque, in grado di far fluire l'ispirazione senza filtri: “Avevamo un computer, due casse, una scheda audio e della chitarrine per permetterci di essere continuamente in movimento, di esplorare e scattare istantanee in musica”, aggiunge Drigo. “Non lavoravamo solo in cucina però: quando non hai limiti temporali e mentali e hai la fortuna di avere un musicista cuoco come Mac… tra un pasto e un altro la musica fluiva”.

Essendo una band è necessaria una sintonia mentale tra tutti noi, per noi è importante avere un momento progettuale. Questa volta ci siamo messi in testa di condividere delle playlist su cui ognuno di noi inseriva le novità musicali che aveva ascoltato. Questa playlist è diventata la nostra agenda di riferimento. Tra queste musiche c’erano anche cose che non riguardavano il rock. È da 20 anni che il rock non riesce a proporre a livello internazionale qualcosa di elettrizzante e nuovo, per questo ci siamo aperti ad altri generi”.

Desert Yacht Club” è nato in viaggio, componente fondamentale dell'album, nella natura estrema del deserto: “Il deserto ti spinge a guardarti dentro. E quando bisogna mettersi allo specchio e guardarsi in faccia se non a questa età?!”, dice la band che subito precisa: “Non ci passa per l’anticamera del cervello di sentirci vecchi, lo spirito è ancora molto temerario e la mentalità aperta. Certo, non potevamo approcciarci a un disco come abbiamo fatto 20 anni fa, la paternità ha avuto una certa influenza sul disco. Nel deserto eravamo completamente isolati e liberi e questo ci ha dato la possibilità di concentrarci continuamente su quello che stavamo facendo. La notte poi poteva capitare che altri abitanti del deserto venissero a trovarci”.

Come spiega il gruppo, “Desert Yacht Club” non è collocabile in una moda o in un tempo vero e proprio anche se è figlio di questi anni: “Ci sono dei cambiamenti in atto, non solo nella musica. Le nostre canzoni parlano della vita e nella vita c'è tutto: romanticismo, rabbia, disillusione...”. “Desert Yacht” è forse il disco più personale e autobiografico ed è un nuovo inizio per la band, ben rappresentato nella canzone manifesto “Siamo ancora qua”, che apre l'album e che è quasi una versione 2.0 di “Ehi! Negrita”.

Tra le tracce del disco ci sono “Non torneranno più” e “La rivoluzione è avere vent'anni”, due brani in antitesi che però scorrono paralleli. “Il primo è rivolto alla nostra generazione, nata sul finire degli anni 60. Parliamo ai nostri coetanei lasciando un piccolo spiraglio per il rimpianto, che in genere detesto”, racconta Pau. “Ci siamo resi conto che siamo genitori e ci è venuto automatico scrivere ai nostri figli. Abbiamo utilizzato la frase 'Be the change you want to see in the world' di Gandhi, un personaggio classico della storia umana per dire ai ragazzi di oggi 'Pensare come volete ma l’importante è che capiate che la vostra è l’età giusta per cambiare le cose'. Con questo disco vogliamo cercare di interpretare il nostro tempo e i vostri anni”.

Il disco si conclude con “Aspettando l’alba”, un brano scritto da Drigo per “sputare fuori ioni negativi”, che sembra proiettarsi verso il futuro. “Quando è scomparso mio padre, all’improvviso, ho vissuto male il lutto. Mi sono aperto molto di più di quanto facessi prima, ero l’ultimo che tornava dopo i concerti, ho dovuto elaborare una lunga serie di addii. Poi ho capito che 'Ogni fine alla fine finirà' come ho scritto nel brano”.

Ad aprile i Negrita torneranno a suonare live in tre concerti in programma il 10 aprile a Bologna, il 12 a Roma e il 14 a Milano.


Autore:
Chiara Cipolla
08-03-2018 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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